Ciò che tu non sai

“Un racconto”

 

Ciò che tu non sai

Monica Piffaretti*


Trafelata arrivo davanti all’entrata della casa anziani. Maledizione, nemmeno un parcheggio nelle vicinanze. E questa pioggia fredda che pare cadano candele di ghiaccio dal cielo!

Nell’atrio, accanto alla parete di plexiglas anti-Covid19, mio padre mi sta già aspettando. È seduto su una poltrona e indossa una tuta da ginnastica verde scuro. Non sono ancora abituata a vederlo così. Il suo deambulatore è posteggiato a pochi metri.

Uno sguardo e già capisco: bene, almeno per lui è giornata. Mi sorride. Anch’io mi sforzo di farlo, però non mi riesce. A tradire il mio umore da schifo c’è pure un rivolo nero che disegna un serpentello lungo la mia guancia. Il rimmel non si è mescolato alle gocce di pioggia, ma alle lacrime.

Mia figlia, quattordici anni appena compiuti, è intrattabile: stravede solo per il suo ‘paparino d’oro’, così chiama mio marito Mario mentre se lo coccola. Io mi accontenterei anche soltanto di una parolina gentile; a esagerare, di una carezza. Invece mi sembra persino che ci prenda gusto a farmi schizzare di rabbia, gridare e vedermi spaccare bicchieri e piangere. Che scenetta! Io fuori dalla grazia di Dio e lei che, con ostentata indifferenza, continua a specchiarsi nel cellulare. Io che l’ho così tanto desiderata… È stata concepita in provetta. Si chiama Gioia.

Le voglio un bene dell’anima.

Eppure per lei io non esisto, ma nessuno mi crede. In presenza di Mario si trasforma: diventa un agnellino, gentile, educata, servizievole. Tanto che lui, ormai, non sta più a sentire le mie lamentele: ‘E dài, Caterina, lasciala in pace!’, ‘Le stai troppo addosso’, ‘Sono gli ormoni, è l’adolescenza’. Eccetera. Gioia a scuola va benissimo, da sei in condotta e una media di lusso. La sbagliata, quindi, sono io. Così incasso tutto sperando che, prima o poi, le tempeste domestiche passino. In ogni caso mi sono sempre detta: ‘Tranquilla, ci pensa Super Mario ad indirizzarla’. Lui, il suo mito.

Ma quale mito? Ecco il punto…

Due settimane fa ho fatto qualcosa che non avrei dovuto fare: ho sbirciato sul telefonino di mio marito. Lo aveva dimenticato sul comodino. Una vocina interiore mi consigliava di fermarmi. Ma il pollice è stato più veloce, ha digitato il codice e sfiorato il logo di Whatsapp. Mi è bastata la lettura dei primi due messaggi per capire: Brigitte, Brigitte, Brigitte… mille volte Brigitte e tanti cuoricini.

Mario ha un’amante. Non da ieri.

Ho urlato, sbattuto cuscini, rotto piatti, pianto a dirotto: ‘Che razza di famiglia è la mia? Chi sono io? Un’intrusa? Una che nessuno considera?’. Ad ascoltarmi non c’era nessuno, soltanto il gatto spaparanzato sul divano. Dentro di me la parola divorzio è affiorata quasi subito. Me ne vado, butto tutto a mare… Poi mi sono venute in mente due amiche che hanno rovesciato il tavolo qualche mese fa. La prima per molto meno (la noia); la seconda per molto di più (le botte). Davvero messe male entrambe! Una fa la badante in nero e finisce i soldi degli alimenti alla terza settimana del mese; lei e prole campano a pasta e corn-flakes. L’altra, gli alimenti deve ancora essere sicura di riceverli. Per non parlare dei figli: fuori controllo. Ultimamente, quando mi chiamano per incontrarci, invento sempre una scusa: mi deprimono.

Sarebbe quello anche il mio destino? E dove lo troverei un lavoro vero a 49 anni suonati? Mica posso vivere del mio impiego a ore come commessa in pasticceria! Ogni mese ne arriva una più giovane e le vecchie spariscono. Ora la più anziana sono io.

E poi…e poi c’è Gioia. Quello è il vero scoglio. Senza suo padre la perderei. Probabilmente lei sceglierebbe lui e non vorrebbe nemmeno più venire da me. Oppure mi sarebbe impossibile gestirla e impazzirei. Ho lottato per metterla al mondo. Ce ne sono voluti di tentativi, iniezioni, pasticche, sconfitte. Per questo ho deciso di recitare la parte. Brigitte non entrerà mai nella m-i-a vita e tantomeno le permetterò di sfasciare la m-i-a famiglia.

Capito perché sono giorni che sto da cani? Digito il numero indicato sul cartello appeso sulla porta della casa anziani e telefono a mio padre. Siamo a due metri e ci telefoniamo… Follia di un periodo folle. La sua mano afferra la cornetta dell’apparecchio oldtimer appoggiato su un tavolino di legno. Spero che non intuisca niente. Invece intuisce fin troppo.

- Pronto, Ninin, che c’è? Non stai bene?

Ha 84 anni, è infermo, chiuso in un ricovero-prigione. Ma come diavolo ha capito? Da quando è rimasto vedovo e si è deciso per l’istituto, ha cominciato a stupirmi. Come se la vecchiaia avesse levigato il suo carattere roccioso, come se da sotto le rughe affiorasse un’altra persona. Gli voglio bene, quasi più di prima, e vorrei tanto che fosse… infinito.

- È per Mario che hai pianto?

Altro siluro, altro bersaglio centrato.

Posso mentirgli? Posso assicurargli che no, che tutto va bene, che è una bella giornata, che io adoro la pioggia gelata? No, non posso. L’esistenza agli sgoccioli non vuole bugie, nemmeno quelle dette per non farsi del male, e lui è già ai tempi supplementari.

- Sì, ha un’altra. Ho trovato i messaggi. Non c’è dubbio, ma non importa. Io sto dove sto. C’è Gioia. Ha bisogno di lui più che di me. Ho deciso di tacere.

China la testa, pare afflosciarsi. Il plexiglas diventa una parete di ghiaccio. Busso forte.

- Papà? Papà, stai bene? Dài, so quel che faccio.

A dire il vero non ne sono tanto certa.

- Pronto, papà, vuoi che chiami un infermiere!?!

Per fortuna rialza la testa. C’è qualcosa di diverso nei suoi occhi. Una luce come quella dell’alba, dolce e determinata.

Farnetico, dovrei calmarmi.

-  Ninin, mi senti?

Annuisco.

- Ora ti racconterò ciò che tu non sai.

Ciò che io non so? Ho paura. Non so di cosa, ma ho paura.

- Ho tradito tua madre.

Che sta dicendo? Il mio stomaco si contorce. Perché ti confessi? E chi te lo ha chiesto? Non io di certo! Ti prego, non farlo. TACI! Glielo vorrei dire, ma le parole non escono dalla mia bocca.

Sento il suo respiro pesante.

- L’ho fatto non una, ma tante volte, Caterina. Tu mi hai sempre visto su un piedestallo: io che predicavo la morale, io che indicavo le rotte, io che giudicavo gli altri.

Vero, verissimo: sei stato il mio faro.

- Non c’erano ancora i cellulari, ma anche tua madre aveva capito come stavano le cose. Viaggiavo molto per lavoro, credevo di poter nascondere ogni traccia e vivere più vite in una. ‘Perché no?’ mi dicevo.

Quando se ne accorse, scelse il silenzio. La nostra vita divenne un teatro: primattrice lei, farabutto e ipocrita io. Che avesse scoperto le mie infedeltà e soprattutto perché tacque, l’ho saputo solo più tardi.

A pochi mesi dal suo addio, quando si contano i giorni rimanenti appollaiati come rondini sul filo pronte a volarsene via, avevamo tutti e due bisogno di verità. A calare il sipario sulla recita è stata lei. Mi ha rivelato che sapeva dei tradimenti, ma che non aveva voluto sbattermi in faccia la mia vigliaccheria e il mio copione di menzogne. Per salvare Antonello.

Antonello, è il nome di mio fratello. Ho le vertigini, mi appoggio al muro.

- Era convinta che senza di me non ce l’avrebbe fatta. Antonello aveva un giro di amici che non ci piaceva. Sapevamo che aveva cominciato a fumare erba. Quante volte abbiamo litigato, urlato, minacciato! Ci chiedeva sempre soldi. A volte li rubava, ma negava sempre e ci mentiva. Aveva una faccia d’angelo. Tua madre si lasciava incantare e gli ridava sempre fiducia. Io ero più duro con lui, capivo il suo gioco. Teneva la mamma in pugno. Una volta è sparito per qualche settimana e hanno diffuso un avviso di ricerca persona. Tu eri piccola, non so se capivi. Cercavamo di proteggerti. Una sera ti ho sentita piangere rannicchiata sotto il piumino: ‘Gesù, ti prego, fallo tornare, fallo tornare!’. Adoravi il tuo fratellone.

Capisci, Ninin? Per lui tua madre ha scelto la prigione di un matrimonio fallito con un marito adultero e bugiardo sempre accanto. Per lui. Poi sai benissimo come è andata a finire una volta che dal Platzspitz non è tornato e l’hanno salvato per miracolo. So che ogni tanto vai ancora a trovarlo. Chissà se, almeno una volta, ti riconoscerà e ti chiamerà ancora per nome? È un privilegio che non ho mai avuto.

La sua mano trema e quasi non riesce a tenere la cornetta. La sua voce no. Sta facendo a pezzi il suo monumento senza il benché minimo indugio. Lo sta facendo perché io non rinunci a me stessa e non salga anch’io sul palcoscenico della finzione. Vorrei prendere a mazzate il plexiglas e abbracciarlo.

Cristo, se hai ragione, papà!

Gli spicco un bacio che perfora il vetro. In quel momento arriva l’infermiere: la telefonata termina lì. Dietro di me c’è il prossimo visitatore, è tre volte che guarda l’orologio. Mio padre saluta con la mano e riprende il deambulatore.

Ci rivediamo, sì ci rivediamo. Perché non puoi essere infinito, papà?

Asciugo tutte le lacrime. Del serpentello di rimmel non resta più niente.

Mio marito rincasa alle otto. Gioia è all’allenamento di basket. I fornelli sono spenti, sul tavolo della cucina c’è soltanto il vaso di fiori con la rosa che perde petali. Si avvicina per schioccarmi il solito bacio. Alt, fermati! La mia voce è calma, non cerco scontri, non cerco vendette, non voglio inchiodarlo.

- Io e te dobbiamo parlare.

Il silenzio deflagra assordante. Mario non nega, non si nasconde. Anche per lui è una liberazione. Giù la maschera, carte in tavola.

Divorzieremo.

È passato quasi un anno. Miracolo, ho trovato un lavoro a metà tempo! Niente di stratosferico: cassiera in un supermercato. Mi basta. Intanto Gioia sta ancora riflettendo se stare da me o da suo padre, che è andato a vivere con Brigitte e i suoi due gemelli. Le chiamano famiglie allargate; la mia è soltanto spaccata in due e io e Mario dobbiamo ancora imparare ad incollare i cocci. Genitori si è per sempre, almeno su quello siamo d’accordo. Ogni tanto mia figlia si barrica in camera, sbatte qualche porta, si sfoga a ritmo di rap, ma l’indifferenza verso di me è svanita. E non solo quella.

Ieri sera mi ha trovata sdraiata sul divano sotto una coperta. Un attacco di emicrania mi ha steso. Niente è stato più buono del tè allo zenzero che mi ha preparato per ingoiare l’analgesico.

- Riposa, mamma, del resto mi occupo io.

Stava per uscire dalla sala, quando si è rigirata verso di me fissandomi dritto negli occhi. Nei suoi ho letto coraggio e paura. Mio Dio, cosa stai per dirmi, Gioia? Ho un sesto senso ormai per le improvvise grandinate. Un’altra in arrivo?

- Ti devo svelare un segreto, Kate.

Kate, mi chiama così da qualche giorno, forse da quando si è accorta di essere alta quanto me.

- Io…io sapevo tutto. Sullo sfondo di una fotografia postata su Instagram c’era papà… con lei: si baciavano. Ho taciuto perché avevo il terrore di perdervi. Ma non vivevo più.

La sua mano, con le unghie colorate di viola e il bordo argentato, mi regala una timida carezza che vale più di mille parole.

- Kate, davvero non vuoi che telefoni al medico?  

Mai stata così bene, amore mio: la bambina, che temevo perduta, è lì, in cammino per diventare donna. Senza segreti, senza zavorre. Libera anche lei. Liberi tutti.

 

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La conflittualità. Consulenze e ricadute sui figli

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E ora come glielo diciamo?